Dietro le Quinte di Paul Smith

Alan Aboud e Sandro Sodano sono i creativi che hanno costruito e fatto crescere l’immagine nel mondo del marchio inglese Paul Smith, realizzando campagne pubblicitarie, profumi e confezioni di altissimo livello. La moda per loro non ha più segreti e neppure il packaging.

Sonia Pedrazzini

È certo curioso, e speriamo sia anche di buon auspicio, ma questa ad Impackt è la prima intervista che i due creativi concedono subito dopo i cambiamenti sostanziali avvenuti in seno alla loro agenzia. Da pochissimo, infatti, la Aboud+Sodano è diventata Aboud Creative, sotto la direzione di Alan Aboud, mentre Sandro Sodano ha preferito dedicarsi con maggiore impegno alla sua professione di fotografo. Questo, però, non ha interrotto l’antica collaborazione tra i due colleghi, che continua invece proficua e con l’ulteriore possibilità per entrambi di agire più liberamente e su nuovi progetti. Risponde alle nostre domande Alan Aboud.
Qual è il fil rouge che vi unisce e vi accomuna al punto decidere di lavorare insieme?
Quando abbiamo lasciato la scuola d’arte, un nostro collega più anziano che ci aveva fatto da tutor, ci ha offerto di lavorare come freelance nel suo spazio a Soho. Abbiamo trascorso lì 13 anni, per poi capire di doverci mettere in proprio. L’esperienza di Sandro e la sua conoscenza della fotografia e della moda sono state utilissime alla mia formazione dato che, al tempo della St. Martin’s School of Art non ero così consapevole del “fashion system”. Quando poi, da Paul Smith sono arrivate più richieste e lavori che prevedevano anche la fotografia, allora è davvero iniziata la collaborazione con Sandro.

Com’è organizzato il vostro studio?
Ci siamo evoluti negli anni: da piccolo studio con due sole persone a ufficio dove lavora uno staff di otto persone, che diventano dieci nei periodi più impegnativi.
Al cliente offriamo un servizio a tutto tondo: progettiamo, facciamo l’art direction, realizziamo servizi fotografici, anche con ritocchi dell’immagine, e curiamo la post produzione. Quasi sempre tutto viene eseguito all’interno dell’agenzia, consentendomi così di seguire da vicino lo sviluppo dei progetti.

Parliamo di moda e packaging. Che importanza ha il progetto del packaging nell’immagine di una grande maison di moda?
È di assoluta rilevanza. La presentazione dei capi di abbigliamento e il loro packaging aiutano ad aumentare la percezione del valore stesso di un oggetto. Le aziende per la quali lavoriamo investono molto denaro per realizzare la shopping bag giusta o la confezione regalo più adatta al proprio cliente. Bisogna sapere che
molti acquisti legati alla moda servono per fare regali, ed è proprio la confezione regalo che assicura a un negozio la fedeltà dell’acquirente. Se qualcuno compra un gioiello griffato, spendendo 2.000 sterline (circa 2.673 euro), il minimo che si aspetta è una confezione che lo protegga, lo contenga accuratamente e che sia anche la più attraente possibile.
Il costo unitario di tutti i capi di moda comprende peraltro etichette, cartellini e packaging; dipende quindi da ogni stilista decidere quanto investire nell’imballaggio e nella confezione. Le case giapponesi sono quelle che danno maggior valore al packaging: in qualunque negozio di Tokyo, anche se si compra una piccola cosa, questa viene impacchettata in modo delizioso e il cliente lascia il posto sentendosi speciale e pensando già ai prossimi acquisti…

Quando affrontate un nuovo progetto di packaging come vi ispirate e che metodologia usate?
L’ispirazione viene da ogni parte… Da una passeggiata in una galleria d’arte, per la strada, al mercato o guardando un film. Io penso continuamente alle cosa da fare, ai progetti futuri. Sono anche un divoratore di libri, ne compro tantissimi e mi rigenero con i loro contenuti.
Talvolta provo a non comprare libri di design, ma non riesco a rinunciare a quelli meravigliosi di Saul Bass, Herb Lubalin and Robert Brownjohn… I miei eroi. Giro sempre con la macchina fotografica, specialmente quando vado a New York, che è la mia città preferita per ispirarmi. Il negozio di libri che amo di più è Dashwood Books, sulla Bond Street a Broadway. David, il proprietario, conosce bene i miei gusti e quando esco da lì, di solito, sono più povero di diverse centinaia di dollari!!!
Com’è nato il vostro rapporto con Paul Smith e come si è evoluto col tempo?
Era il 1989, l’ultimo anno alla St. Martin’s School; il responsabile acquisti della Paul Smith venne alla presentazione dei lavori di fine corso e selezionò me ed altri colleghi per un colloquio di lavoro come freelance. All’epoca la mia specializzazione era tipografia e non avevo alcuna esperienza nella moda e nell’art direction. Feci il colloquio ed ero la persona meno adatta a quel lavoro, ma a Paul piacqui e quindi iniziai come freelance; all’inizio collaboravo tre giorni alla settimana ma l’impegno andò via via intensificandosi.
Sono stato fortunato a vivere il momento della maggior espansione del marchio, sono cresciuto con questa azienda e soprattutto il rapporto con Paul è stato eccellente. Ci sono pure stati dei momenti difficili, ma stiamo ancora insieme dopo 19 anni. C’è voluto un po’ prima che Paul mi concedesse tutta la sua fiducia, ma adesso ci confrontiamo spesso e può permettersi di darmi un brief di lavoro, composto solo da uno schizzo e poche informazioni, vista l’ottima intesa.
Per i lavori realizzati per Paul Smith avete cercato di imporre il vostro stile, avete fatto vostro lo stile dello stilista, oppure avete lavorato sempre in perfetta collaborazione e unità stilistica?
Non credo di avere un mio vero e proprio stile personale; piuttosto tendo alla semplicità e cerco, in ogni lavoro, la soluzione più chiara e ben ragionata. Penso che un designer, in qualità di fornitore di servizi, abbia la responsabilità di seguire l’immagine del cliente e non il contrario. Siamo dei catalizzatori di immagine e cerchiamo soluzioni progettuali: il cliente ci indica quello di cui ha bisogno o che manca al suo prodotto e noi organizziamo il gruppo di lavoro per assolvere a quei propositi specifici. Grazie al lungo rapporto tra me e Paul, spesso mi trovo nella condizione di essere contemporaneamente cliente e agenzia; è raro che altri decidano in merito ai servizi fotografici etc. Sono di fatto il “guardiano del brand”, dato che ho direttamente contribuito alla sua creazione e, dopo 19 anni, so bene cosa piace o non piace a Paul.

Quali sono gli elementi principali di cui un designer deve tener conto nella progettazione del packaging per il settore dell’Alta Moda?
In ogni progetto la parte più importante è quella di chiarire quale sia il packaging giusto per ogni utilizzatore, ad esempio: è per un uomo o una donna? Di che età? Da quale altra marca è attratto o a quale brand fa riferimento? Dopo aver risposto a queste domande, si può cominciare il proprio progetto. Anche il budget è un elemento significativo e da definire subito.
Uno può anche disegnare un packaging meraviglioso, involucri creati ad hoc, ma se poi è troppo costoso il cliente non lo realizzerà. Oggi l’aspetto economico gioca un ruolo decisivo anche in questo settore e tutte le case di moda di successo sono guidate dai direttori finanziari. Fortunatamente per me, spesso la soluzione più semplice è la migliore. Il lusso talvolta significa semplicità, e spazio.

Un case history, un aneddoto speciale o curioso, di cui potete parlarci?
Spesso Paul mi fornisce le indicazioni di lavoro sotto forma di schizzi e scarabocchi. Ne ho conservati molti e non di rado mi sono serviti anche come utili vademecum su come comportarsi in questo settore.
Dopo tutto Paul ha esordito nel 1970 e quindi ha tutta l’esperienza possibile… Comunque, un giorno cercando alcuni schizzi tra i suoi appunti, ne ho trovato uno che “riassumeva” Paul in modo così preciso che nessun articolo può farlo meglio. Diceva: “Sono al xxx xxx (un famoso hotel di Los Angeles). È pieno di stronzi e buffoni”. Stava cenando da solo dopo aver concesso interviste nel suo nuovo negozio di Los Angeles ed era stato spaventato da alcuni fissati con la moda. Non è strano il suo comportamento, lui è molto, molto umile. Mi piace pensare a Paul come al mio mentore, nella vita e nel lavoro. Lui mi mostra sempre il modo più giusto e onesto di comportarmi. Pur essendo famoso e circondato da star e celebrità, ne resta del tutto incorrotto.

Quali sono gli altri vostri clienti?
Stiamo lavorando per un’azienda di Londra, la Neal’s Yard Remedies, una farmacia omeopatica e rivenditore di prodotti naturali e di bellezza. Mi hanno chiamato come direttore creativo per rivedere tutto il marchio, dal packaging al punto vendita. È un progetto che mi dà molta soddisfazione, perché credo fermamente nei prodotti e negli imballaggi che non danneggiano il corpo o l’ambiente.
Come punto di partenza, l’azienda ci ha fornito un suggestivo “flacone/icona” e una precisa tavolozza di colori. Stiamo lavorando attorno a questi elementi per imprimere al marchio continuità e forza. Stiamo anche lavorando per River Island, una catena di grido, simile a H+M o a TopShop. Una sfida molto diversa, ma nondimeno soddisfacente.

Per quali altre griffe di moda ti piacerebbe lavorare?
Non ambisco a lavorare per molte altre aziende di moda: penso che siano fin troppo strutturate per potermi coinvolgere. Ma mi piacerebbe lavorare per qualche marchio in auge nel passato e che adesso avrebbe bisogno di una revisione, come Laura Ashley, un brand fantastico che ha conosciuto il successo negli anni Ottanta ma che, dopo la morte del proprietario, è sprofondato nella mediocrità.

Qualche anticipazione sui prossimi lavori?
Ci sarà una nuova edizione limitata del profumo da uomo Paul Smith. Un mio libro di immagini chiamato “Above All Else” e anche un libro scritto con mio cugino Simon Aboud dal titolo “Told”. Questa è la prima collaborazione che facciamo con l’agenzia satellite Aboud+Aboud (www.aboud-aboud.com).