Un imballaggio deve sempre fare i conti con il prodotto che contiene, in particolare il packaging cosmetico. Ma cosa si nasconde dietro un semplice “battito di ciglia”? Ce lo racconta Renato Ancorotti, presidente di Ancorotti Group, azienda leader in R&S che realizza make up e prodotti per la pelle per i più importanti marchi internazionali. Sonia Pedrazzini
Quali sono stati i suoi esordi nel mondo della cosmesi?
Ho cominciato con la produzione di make up nel 1984 fondando Gamma Croma.
Gli inizi sono stati avventurosi e intensi, quelli di una piccolissima azienda di tre persone.
Nel 2008, quando ho venduto le mie quote, eravamo in 350 e la società era diventata il secondo player mondiale. Un anno dopo sono rientrato nel settore, dando vita con mia figlia Enrica alla Ancorotti Cosmetics. A differenza di Gamma Croma che produceva un po’ tutti i prodotti di make up, l’abbiamo specializzata nel mascara, il prodotto di make up in assoluto più difficile perché la combinazione di brush, packaging e formula deve essere bilanciata perfettamente. La formula, in particolare, è in questo caso talmente delicata che, senza le condizioni ottimali, facilmente si altera, perdendo i requisiti originali.
Pochi immaginano quanto lavoro e quanta professionalità ci sia dietro la produzione di un mascara. Come lavora Ancorotti Cosmetics e chi sono i principali clienti?
Senza fare nomi, possiamo affermare che il mascara più venduto in Europa lo produciamo noi, come pure il più venduto in Russia; abbiamo conquistato anche parte del mercato francese, notoriamente molto difficile. Affrontiamo tutte le fasce di mercato e vendiamo sia in Italia che all’estero. Dove i dazi doganali sono alti spediamo solo la formula che poi viene confezionata in loco. In altri casi, il cliente ci fornisce il pack che poi riempiamo con il nostro prodotto e lo mettiamo sul mercato.
La tendenza comunque sarà sempre più quella di offrire un “full service”, chiedendo addirittura al cliente che vuole acquistare solo il bulk, di fornirci alcuni campioni del packaging in modo da testarlo assieme alla formula. Questo, per essere sicuri che il prodotto che gli forniremo sia conservato nel packaging più adeguato.
Non è detto, infatti, che la miglior formulazione e il miglior imballaggio, messi assieme, alla fine diano il miglior mascara. Per ogni tipo di formulazione ci sarà dunque uno specifico pennello – la cui fibra andrà commisurata alla viscosità e alla densità del mascara – un determinato riduttore che stabilirà la quantità che deve fuoriuscire e persino il materiale dell’imballaggio dovrà essere calibrato con attenzione ed essere compatibile con la stabilità della formula.
Parlando di packaging cosmetico, cosa la affascina di più in una confezione?
Oggi quello che mi colpisce è soprattutto la qualità; ma anche la capacità di quanti, in un settore come il nostro, riescono a fare oggetti nuovi senza tuttavia alterare il rito, la gestualità del truccarsi. Il mascara, ad esempio, lo apri e lo usi in un certo modo, da sempre; cambiare questi gesti mi sembra impossibile. Pensando al packaging, vorrei che fosse importante e di peso, fatto di materiali moderni e sensoriali capaci di trasmettere preziosità, valore, emozione. Stendere il mascara sulle ciglia per molte donne è diventato un gesto quotidiano, così come usare i prodotti per la cura del corpo, dal sapone, al dentifricio, alle creme… La cosmesi insomma gioca un ruolo “sociale” nella nostra vita e dietro tutto questo c’è la complessità tecnica, la ricerca e la cultura aziendale: fattori questi poco percepiti ma che, per me, sono i più intriganti.
Quali suggerimenti darebbe a un packaging designer e a un’azienda che produce imballaggio cosmetico?
Il designer deve anzitutto conoscere a fondo il settore per cui sta disegnando; deve avere nozioni tecniche, conoscenza dei materiali e delle lavorazioni, ma anche l’umiltà di sedersi a un tavolo con l’azienda e i suoi tecnici per sviluppare il prodotto secondo i giusti limiti imposti dalla fattibilità.
L’azienda, dal canto suo, deve in primo luogo assicurare che il prodotto rispetti tutti i parametri della qualità. E mostrare più attenzione verso il mondo del design, spesso considerato vacuo: sono sicuro che se designer di grande spessore lavorassero con il settore cosmetico avremmo delle belle sorprese.
Si dice tanto “Made in Italy”. Come siamo percepiti all’estero per quanto riguarda la cosmesi?
Negli ultimi anni il valore della nostra immagine è cresciuto molto. L’Italian Style è percepito bene, non solo nel food, nella moda e nel design, ma anche nel cosmetico. Forse non tutti sanno che il 70% del make up mondiale in outsourcing è prodotto in Italia, e che siamo una grande eccellenza, soprattutto in questa zona della Lombardia.
Produrre in Italia è certamente la condizione necessaria perché un prodotto sia Made in Italy ma non è più sufficiente: è necessario che il prodotto sia realizzato secondo determinate caratteristiche. Il cliente estero si aspetta da noi grande qualità, come quella della Ferrari e del Brunello Cucinelli per intenderci, ma alla dicitura Made in Italy è necessario aggiungere un plus, una sorta di certificazione che garantisca il livello e la qualità della produzione italiana.
E quali sono, secondo lei, le “eccellenze” nel settore cosmetico da far conoscere meglio anche a noi italiani? Dario Ferrari, presidente e fondatore di Intercos, è sicuramente il riferimento di questa eccellenza. Questa azienda è la numero uno al mondo, un vero e proprio riferimento nella ricerca e sviluppo prodotto che ha saputo offrire ai clienti soluzioni di marketing e di prodotto innovative e di altissima qualità. In Italia il contoterzista non è più un mero esecutore, un semplice fornitore, ma fa ricerca all’avanguardia. È bene sapere che moltissimi dei prodotti più esclusivi oggi sul mercato, magari con marchi di prestigio, sono concepiti e nati in Italia.
Con la fondazione di Ancorotti Cosmetics India, lei ha fatto un deciso salto di scala. Di cosa si occupa questo dipartimento?
Rispetto ai mercati occidentali, quali sono le maggiori difficoltà?
È un dipartimento creato per soddisfare i mercati emergenti di India e Asia e produce cosmetici in loco formulati su bisogni specifici. Siamo partner di società indiane al 50%, così da avere il polso della situazione e sapere, ad esempio, quali sono i prodotti che si vendono meglio in quella parte del mondo, che sono oggi quelli per le labbra. Il mascara è, infatti, ancora poco utilizzato dalle donne indiane, che lo stanno scoprendo adesso. Si tratta di un mercato complesso e in continua evoluzione, non solo dal punto di vista prettamente industriale ma anche per la sensibilità del pubblico verso la cosmesi.
Per certo uno dei più grandi problemi è affrontare la burocrazia indiana, molto più complessa della nostra, il che è tutto dire, e con tempi lunghissimi.
La produzione delle formulazioni avviene direttamente in India?
Al momento le prepariamo in Italia e le trasferiamo in India, ma stiamo formando e seguendo dei tecnici per rendere i nostri partner autonomi e portarli a realizzare un prodotto di buona qualità. Produrre in India, per noi, significa lasciare un’eredità importante a quel territorio, ovvero la nostra esperienza e il nostro sapere, che verranno messi a frutto da un’azienda locale creata per quel mercato. Ma, sia chiaro, non delocalizzeremo mai le nostre aziende italiane.
E, infatti, il suo desiderio di valorizzare il territorio italiano e vederne implementate le forze produttive, si esprime chiaramente anche nella promozione del “Polo della Cosmesi”. Ci spieghi di cosa si tratta.
In questo momento in Italia c’è una grande crisi e non vedo segni di ripresa. Credo che la situazione sia molto critica anche perché la nostra economia si basa in prevalenza su piccole e medie imprese, spesso impreparate ad affrontare crisi come quella in cui ci troviamo. In questo contesto, “fare sistema” mi sembra quindi l’unico toccasana: quando i piccoli imprenditori e gli artigiani si coalizzano e fanno filiera, possono ottenere molto. Ma non basta, devono anche guardare all’estero, devono trovare la forza di promuovere i loro prodotti a livello internazionale, dato che non si può dimenticare di vivere in un sistema globalizzato e interconnesso.
Il Polo della Cosmesi si è strutturato nel 2006, proprio con l’idea di mettere insieme le aziende del territorio cremasco che si occupano di make up e confezionamento. Duplice l’obiettivo, anche ambizioso: unire le forze per fare ricerca e sviluppo e darsi un codice etico. Nella filiera, infatti, tutti devono crescere, non solo in fatturato ma anche con le certificazioni, con la qualità, soprattutto con la formazione, così da poter contare su tecnici ed esperti che parlino un linguaggio comune e che abbiano conoscenze molto specifiche. A tal proposito da gennaio, è partito a Crema il primo corso di “Tecnico di industrializzazione del prodotto e del processo” ideato da Sogecos e Ancorotti SpA, in collaborazione con l’Istituto Galilei di Crema, finalizzato alla formazione di tecnici da inserire poi nelle aziende del territorio.